Psicosomatica

Il termine “psico-somatico” venne utilizzato per la prima volta nel 1818 dal medico a orientamento psicologico Johann Christian Heinroth. Nel 1828 il medico organicista K. W. Jacobi utilizzò invece il termine somato-psichico riferendosi a quelle malattie che potevano influire sullo stato psichico dei malati contrapponendosi al pensiero di Heinroth.

Da allora gli studiosi interessati alle malattie psicosomatiche esaminarono le malattie e gli organi più frequentemente interessati nel corso della sofferenza psichica, tra cui la pelle.

La pelle è l’organo più grande del nostro corpo e ha diverse funzioni tra cui quella di protezione e contenimento; oltre a contenere gli organi e le strutture interne, contiene anche le emozioni ma a volte, quando non si riesce ad esprimere i sentimenti o non li si può contenere, “parla” al posto nostro comunicando emozioni attraverso manifestazioni somatiche (basti pensare all’eritema sul viso delle persone arrabbiate o emozionate, o alla sudorazione delle mani nelle persone in ansia o che provano un disagio).

Il forte legame tra pelle e psiche ha origine antiche, di tipo somatico e psichico; dal punto di vista somatico perché quando un embrione cresce nel grembo materno, una sottile porzione di tessuto chiamata ectoderma si dividerà nelle cellule che andranno a formare la pelle e il sistema nervoso (che quindi hanno un progenitore comune); dal punto di vista psichico perché la pelle è l’organo di senso che invia messaggi al cervello ogni volta che viene toccata, accarezzata, contenuta dagli abbracci dei genitori: a poco a poco il bambino impara attraverso la stimolazione tattile, con segnali che la pelle invia al cervello, a percepire il suo corpo come separato da quello materno avvertendone i limiti e le caratteristiche.

Per il fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, l’Io si forma a partire da un Io corporeo, che Didier Anzieu definisce come l’Io pelle; il tatto è l’unico tra i 5 sensi che possiede funzione riflessiva: quando il bambino tocca qualcosa la sua pelle tocca l’oggetto ma viene al tempo stesso toccata; da questo modello riflessivo si costruiscono poi le altre funzioni riflessive come ascoltarsi mentre si emettono suoni ad esempio.

Heinz Kohut considerato il “caposcuola” della Psicologia del sé spiega che il bambino appena nato non possiede un sé inteso in senso esperenziale ma sviluppa dapprima un sé corporeo che poi matura con lo sviluppo di un sé inteso come la capacità di sentirsi come un polo autonomo di percezione, di riconoscersi allo specchio e divenire autocoscienti.

La pelle per Esther Bick è anche una pelle psichica perché permette di sviluppare alcuni tra i primissimi meccanismi di funzionamento psichico alla base della capacità di relazionarsi con gli altri; il bimbo, una volta venuto al mondo viene nutrito col latte che entra attraverso una cavità nella pelle, cioè la bocca, e attraverso l’introiezione del latte sviluppa la capacità di introiettare esperienze (prima di nascere veniva nutrito tramite il cordone ombelicale); tramite l’orifizio anale impara ad espellere le feci e impara i meccanismi evacuativi. Se le funzioni di contenimento della pelle (acquisiti soprattutto grazie al contenimento materno o della persona che accudisce il bambino) vengono meno, il bambino per difendersi sviluppa una tensione muscolare che comporta la formazione di una “seconda pelle psichica” che ha la funzione di tenere coese in modo onnipotente le parti del sé che tendono alla disintegrazione.

Wilheim Reich pensava che l’energia sessuale non scaricata comportava un irrigidimento della postura tale da formare una vera e propria “corazza caratteriale” o “armatura del carattere” con la formazione di blocchi emotivi specifici nel corpo.

Felix Deutch cercò di approfondire il fenomeno della “conversione”, descritto da Freud, attraverso cui alcuni tipi di tensione emotiva venivano scaricate sul corpo, traducendola come una sorta di valvola di sfogo necessaria per scaricare la sofferenza psichica: questo concetto spiegava il perché a volte alcune persone sembrano peggiorare fisicamente quando stanno bene a livello mentale o viceversa (perché più somatizziamo e convertiamo sul corpo, più liberiamo la mente dalle tensioni); per Felix Deutch il sintomo era quindi una protezione contro la perdita dell’oggetto, che una volta perso, veniva desiderato a tal punto da immaginarlo e recuperarlo mentalmente attraverso un processo a cui dava il nome di  “retroiezione”, grazie al quale veniva simbolizzato nel corpo.

Per George Groddeck non esisteva distinzione tra disturbi psichici e fisici e le persone dovevano essere curate nella loro globalità: ammalarsi, fisicamente o mentalmente, era quasi sempre una manifestazione dell’Es (cioè la pulsione, l’energia istintiva vitale inconscia) che creava e voleva mantenere lo stato di malattia per motivi inconsci.

Il pediatra psicoanalista Donald Winnicott affermava che il termine psico-somatico è necessario perchè non esiste una parola altrettanto adatta a descrivere certi stati clinici. Il trattino “-“ unisce e separa due aspetti della pratica medica costantemente in discussione: rappresenta la scissione che separa la mente dal corpo; per lui i disturbi cutanei in particolare mettevano in evidenza la membrana che limita il corpo e dunque la personalità, enfatizzando che al di là di essa si trova il rischio di depersonalizzazione; alcune dermatopatie esprimono l’angoscia del mancato contenimento del bambino, come un quadro senza la cornice.

In definitiva la somatizzazione (il passaggio dalla mente al corpo) rappresenta una difesa che ci protegge da tensioni emotive più distruttive e pertanto numerosi autori, in particolare Karl Menninger, suggeriscono che in molti casi è bene occuparsi del “male minore”, cioè il sintomo, per non alterare l’equilibrio che la persona si è creata nel corso della vita; quando però la somatizzazione è tale da compromettere la qualità della vita e delle relazioni e se la persona ne sente il bisogno, può essere utile affrontare il problema anche dal punto di vista psicologico.

Grazie agli studi di Franz Alexander e molti altri studiosi si arrivò ad approfondire l’argomento evidenziando che il meccanismo attraverso cui si crea il sintomo nelle malattie psicosomatiche dipende dall’età in cui lo sviluppo dell’Io della persona ha avuto degli arresti o dei problemi: quando ciò avviene in periodo edipico o post edipico (intorno ai 5 anni o leggermente dopo)  il meccanismo di passaggio dalla mente al corpo avviene per conversione, un meccanismo di difesa che agisce tramite attivazione del sistema nervoso volontario; se avviene in periodo pre edipico o addirittura pre verbale, il meccanismo di passaggio dalla mente al corpo avviene tramite la scissione, un meccanismo di difesa arcaico che comporta attivazione delle reazioni di fight or flight (attacco o fuga) con coinvolgimento del sistema nervoso autonomo somatico: l’attivazione della componente ortosimpatica comporterà tachicardia, ipertensione, cefalee ad esempio, mentre l’attivazione della componente parasimpatica comporterà broncocostrizione, vomito, ipotensione e altri sintomi.

Gli studi successivi sulle malattie psicosomatiche videro la formulazioni di due correnti di pensiero principali: la prima, quella della scuola di Parigi, sostiene che chi somatizza ha un tipo di pensiero chiamato “pensiero operatorio”, caratterizzato dal fatto di essere molto concreto, privo di sfumature metaforiche o simboliche, per cui i processi di somatizzazione appaiono per l’impossibilità di elaborare mentalmente le emozioni; la seconda corrente di pensiero, quella della scuola di Toronto, che sostiene che chi somatizza tende ad avere un funzionamento “alexitimico”, ovvero fatica a dare un nome alle emozioni che prova, esprimendole sul corpo.

Johannes Cremerius riflettendo sul fatto che le malattie psicosomatiche sono molto frequenti e colpiscono anche artisti, medici e psicologi, arrivò a dubitare dell’esistenza di una vera e propria personalità psicosomatica caratterizzata dal pensiero operatorio; analizzando tali condizioni per lunghi periodi, potè assistere a molteplici forme di trasformazione: nell’arco di 10 o 15 anni notò che a volte potevano assumere l’aspetto di guarigioni spontanee, altre volte le sindromi funzionali potevano diventare affezioni organiche  o quadri patologici psiconevrotici e psicosociali.

Gli studi più recenti di Wilfred Bion e Thomas Ogden focalizzano anche l’attenzione sulla capacità di ricordare i sogni che nelle persone alexitimiche che somatizzano appare minore rispetto alla popolazione generale: la funzione mentale che permette di dare un significato ai sogni e alle esperienze che la persona sperimenta nel corso della vita (funzione alfa), permette di elaborare meglio le tensioni emotive scaricandole meno sul corpo.

George Libman Engel elaborò un modello di malattia psicosomatica di tipo “biopsicosociale”; consideriamo il caso di una persona che dopo i 40 anni inizia a soffrire di ipercolesterolemia: tranne in casi determinati dalla genetica dell’individuo, la condizione può essere la conseguenza del fatto che la persona lavora troppo e non ha più tempo per fare sport; analizzando il perché di questa scelta si potrebbe ad esempio scoprire che ha iniziato a comportarsi così per guadagnare più soldi, per compensare una bassa autostima e per dimostrare di aver raggiunto il successo: ecco come una malattia apparentemente organica, biologica, può in realtà essere causata da fattori psicosociali.

Gli studi sullo stress iniziati da Walter Bradford Cannon e tutt’ora approfonditi da numerosi studiosi, avvicinarono il mondo della psicoanalisi a quello della biologia e della medicina esaminando l’attivazione di ormoni come l’ACTH nel corso di forte stress. Più recentemente la PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) ha iniziato a fornire delle teorie immunologiche che spiegano alcune alterazioni corporee in corso di alterazioni dell’umore, come ad esempio l’aumentata espressione di citochine pro-infiammatorie come TNF, IL-alfa, beta e IL-6 in corso di depressione.