Monthly Archive: Marzo 2023

IL CERVELLO DEGLI ADOLESCENTI (a cura di: Dott.ssa Sonia Marengo)

Cose da sapere per comprendere meglio i nostri ragazzi

Chi ha avuto a che fare con un adolescente lo sa: comunicare con loro è spesso faticoso e talvolta irritante. Sembra che non stiano ad ascoltare quello che diciamo, non rispondono alle nostre domande, si scocciano subito appena apriamo bocca, quando li chiamiamo per studiare o perché la cena è in tavola, rispondono con un laconico: ”Arrivo subito!” e compaiono solo dopo che strilliamo per l’ennesima volta, quasi fossero caduti in un buco nero dimensionale dal quale riemergono dicendo: “eccomi, ti ho detto che arrivavo, cos’hai da strillare?!”

Questi sono solo alcuni esempi di comunicazione infruttuosa che avvengono quotidianamente in famiglia. Ma prima di perdere definitivamente la pazienza, vorrei spiegarvi alcune cose, che in parte li giustificano e che sapendole, ci evitano di farci arrabbiare troppo.

Prima di tutto dobbiamo sapere che la mente dei nostri ragazzi è ancora un cervello in costruzione. Le neuroscienze oggi ci raccontano che la struttura cerebrale non è statica e non dipende solo dal bagaglio genetico di ognuno di noi, ma anche delle esperienze vissute, dall’ambiente (interno e esterno), dagli apprendimenti. Le sinapsi si modificano per tutta la durata della nostra vita, e quindi possiamo dire che il nostro cervello non smette mai di mutare e maturare.

La NEUROPLASTICITA’ è una delle caratteristiche più importanti del nostro cervello ed è la capacità di modificare la propria struttura (modificando le sinapsi) sulla base delle sollecitazioni che provengono dall’ambiente.

Nel cervello di un adolescente nello specifico avvengono diversi fenomeni:

  • POTATURA: alcune connessioni sinaptiche utilizzate da bambino, se non servono più vengono “tagliate” (come vengono potati i rami secchi) e se ne creano altre nuove, stimolate dall’ambiente e dall’apprendimento. Questa è una delle caratteristiche della neuroplasticità di cui ho parlato prima, che porta l’adolescente ad un nuovo processo di individuazione.
  • Iperattivazione del SISTEMA LIMBICO (sede delle emozioni): nell’adolescenza spesso tutto diventa tanto, tutto diventa esagerato, ogni emozione viene ampliata e si passa da momenti di euforia in cui è tutto bello a momenti di depressione in cui la vita fa schifo.
  • MIELINIZZAZIONE delle fibre nervose: mentre il corpo cresce, crescono anche le fibre nervose attraverso cui passano gli impulsi nervosi e quindi le informazioni che arrivano e partono dal cervello. Queste fibre nervose sono ricoperte da una sostanza chiamata “mielina” che le riveste e le protegge (come il rivestimento di plastica che ricopre i cavi elettrici). In adolescenza, è possibile che, mentre queste fibre vengono rivestite e aumenta la densità della mielina, alcune rimangano temporaneamente scoperte e questo causa un funzionamento irregolare, con una dispersione dell’informazione in entrata e in uscita. Noi ci accorgiamo di questo fenomeno quando ogni tanto facciamo delle domande ad un adolescente e lui non ci risponde subito, come se rimanesse per un attimo imbambolato, oppure quando loro ci parlano e improvvisamente interrompono la frase a metà e noi li guardiamo un po’ dubbiosi chiedendoci: ma avrà capito, avrà dei problemi o sta semplicemente pensando ai fatti suoi?
  • Rilascio eccessivo di DOPAMINA nelle situazioni eccitanti. La dopamina è, in parole semplici, l’ormone che ci fa stare bene. È un neurotrasmettitore implicato nel sistema dopaminergico che reagisce nelle situazioni gratificanti (es: mi diverto a chattare con gli amici o a videogiocare e non voglio più smettere, anche se dovrei studiare). Può essere coinvolto anche nelle situazioni di dipendenza da videogiochi, da digitale, da alcool e droghe, ecc.…
  • CORTECCIA PREFRONTALE non ancora matura. La corteccia prefrontale è un’area del cervello molto importante, sede delle funzioni cognitive di alto livello (es: controllo delle emozioni, autoregolazione, pianificazione, ecc.…) e che arriva al termine della sua maturazione intorno ai 20-25 anni. La corteccia frontale è quella che ci distingue dai primati e che può inibire, ad esempio, comportamenti inadeguati o rischiosi. Per un adolescente è difficile quindi pianificare lo studio, fare progetti per il futuro, regolare le emozioni, ecc… queste competenze arriveranno, ma vanno gradualmente allenate.

A volte i ragazzi si perdono nei loro pensieri o sono in balìa delle emozioni: questo accade perché la corteccia prefrontale non è ancora del tutto sviluppata, sono in preda all’iperattivazione del sistema limbico e non riescono ad autoregolarsi.

F.E. Jensen, nel suo libro “Il cervello degli adolescenti” scrive: “la parte più importante dell’encefalo umano, l’area dove si soppesano le azioni, si giudicano le situazioni, si prendono decisioni, è nei lobi frontali. È l’ultima regione cerebrale a svilupparsi ed è per questo che dovete essere voi i lobi frontali dei vostri figli finché il loro cervello non sia completamente connesso, collegato e pronto a funzionare per conto suo”.

La corteccia prefrontale non ancora del tutto sviluppata porta quindi a:

  • EMOZIONI INTENSE
  • COMPORTAMENTI IMPREVEDIBILI
  • RICERCA DI GRATIFICAZIONI IMMEDIATE (giocare con i videogiochi tutto il giorno, chattare fino alle 3 di notte perché mi fa piacere, ecc.…)
  • SCARSO CONTROLLO E SCARSA CAPACITA’ DI ORGANIZZARSI E DI PIANIFICARE
  • GRANDE CREATIVITA’ (va compresa, riconosciuta e sostenuta, per far modo che diventi uno strumento di crescita)

L’adolescenza è l’epoca dell’apprendimento. Le competenze cognitive e il potenziale di apprendimento è altissimo, ma spesso compromesso da iper-emotività e maggiore spinta verso stimoli gratificanti. Le emozioni forti possono causare un corto circuito perché nella preadolescenza e adolescenza abbiamo un disallineamento fra cervello emotivo e cervello cognitivo.

Non bisogna mai etichettare gli adolescenti, mai darli per spacciati, irrecuperabili: il cervello può sempre modificare, dipende dalle esperienze che il ragazzo vive.

Il cervello di un adolescente è UNICO!! Non dobbiamo cadere nell’errore di patologizzare senza motivo i ragazzi. L’irregolarità dei loro comportamenti, non è devianza, ma normalità.

La sfida che dobbiamo raccogliere come adulti è quella di essere solidi, aperti al dialogo e alla comprensione, attivando la consapevolezza che quello che capita nella vita può essere motivo di apprendimento. Il cervello dei ragazzi è plastico, si modifica e trasforma in risposta all’ambiente, generando nuove competenze. Il loro cervello è inoltre costantemente polarizzato fra rischio e opportunità, fra criticità e risorse ed è quindi fondamentale la presenza di un adulto “porto sicuro” che lo sappia accogliere, comprendere, ascoltare e guidare nel mare della vita, finché non sia pronto a navigare da solo.

BIBLIOGRAFIA:

  1. F.E. Jensen “Il cervello degli adolescenti”
  2. S. Rossi “Mio figlio è un casino”
  3. Webinar del CPPP (Centro Psicopedagogico per la Pace) Daniele Danovara

COS’E’ LA PEDAGOGIA CLINICA? (a cura di: Dott.ssa Sonia Marengo)

Oggi la pedagogia ha come oggetto di studio l’educazione, la formazione e l’istruzione culturale dell’uomo, in tutto il suo percorso di crescita formativa, dall’infanzia all’anzianità, perché, a pensarci bene, non si smette mai di imparare e di formarsi. La pedagogia si occupa quindi della formazione, educazione e istruzione dell’essere umano, mentre la pedagogia clinica si occupa delle problematiche annesse e delle difficoltà correlate a queste tre dimensioni.

Ogni esperienza, come ad esempio un film, un libro, una gita, un incontro con una persona, un racconto, un video, ecc.… può insegnarci qualcosa e diventare occasione di crescita formativa. Dipende da come noi la viviamo e quale significato le diamo.

Grazie alle persone che ci educano e ci istruiscono, noi costruiamo la nostra storia formativa, che ci dà forma e ci trasforma, a cui aggiungiamo momenti formativi personali lungo tutto il nostro percorso di vita. Importante comprendere che, mentre nei processi di educazione e di istruzione esiste sempre una relazione fra chi educa e chi viene educato, la formazione è un percorso strettamente personale e unico, perché è il soggetto stesso che decide se trasformare un’esperienza in un momento formativo oppure no.

Noi siamo nel mondo, e ognuno ha un suo mondo che si rapporta ad altri mondi e come lo facciamo o non lo facciamo può essere un problema pedagogico clinico.

Nella vita possono accadere anche eventi traumatici o dolorosi che invece di formarci, ci de-formano, ovvero ci depotenziano, bloccano la nostra crescita formativa e ci costringono in uno stato di stallo in cui facciamo fatica a pensare e a reagire, ci sentiamo a disagio, spaesati e non ci riconosciamo più. In generale spesso usiamo la frase – sono in crisi – a cui non riusciamo però a dare bene un significato. Parlo in generale di un soggetto che si sente in un periodo di crisi e non è soddisfatto né felice di se stesso e non esce ad avere rapporti armonici con se stesso e con altri (famiglia, amici, fidanzati). Non si parla di patologie gravi, problematicità specifiche (dipendenze, anoressia, depressione, ecc.…), soggetti affetti da patologie, per i quali è importante rivolgersi al professionista più competente, ma si parla di soggetti che avvertono di essere in uno stato di crisi.

In queste situazioni può essere d’aiuto la figura del pedagogista clinico che, in seduta, utilizzando come strumenti il dialogo e il pensiero, attraverso la creazione di reti categoriali, lavora con il soggetto e lo aiuta a togliersi dallo stato di stallo e a ri-pensarsi, riuscendo a trasformare il momento di crisi de-formativa, in un nuovo momento formativo, da cui ripartire, dando una nuova forma al proprio essere.

Il pedagogista lavora con l’essere umano per migliorare le sue condizioni di vita, per quanto concerne il proprio ambito lavorativo, ovvero l’educazione, la formazione e l’istruzione culturale e quando questi componenti subiscono un processo di destabilizzazione e deformazione.

Le sedute hanno una durata limitata nel tempo e hanno come scopo quello di riportare il soggetto in uno stato attivo e formativo, dove sia nuovamente in grado di pensare se stesso e a se stesso, a prendersi cura di sé e della propria formazione.

Il pedagogista lavora con il soggetto affinché il soggetto, attraverso una relazione educativa, venga educato a pensarsi alla luce di categorie pedagogiche che permettano di girare intorno al suo problema che lo sta facendo stare male, in crisi, e educarsi lui stesso a riconosce qual è il suo problema. Quando lo riconosce il processo della consulenza pedagogica è avviato alla sua risoluzione.

Oggi è difficile portare avanti discussioni formative, manca un ’educazione a confrontare punti di vista diversi. Non dobbiamo avere un dubbio scettico, diffidente, ma un dubbio che porta al pensare un pensiero che si apre alle possibilità altre.

Il pedagogista clinico educa il soggetto all’indipendenza dal professionista che gli sta facendo la consulenza perché la consulenza educa il soggetto ad un’autonomia del pensiero. La consulenza emancipa il soggetto dal bisogno di dipendere da qualcun altro per interpretare se stesso.